Monday, September 15, 2008

GRAZIE !GRAZIE !GRAZIE !GRAZIE!


QUESTO E' SOLO PER TE

CHE MI HAI INSEGNATO AD AMARE LA MATTINA IL PANE CALDO E LA MALINCONIA

Tuesday, July 29, 2008

UN RACCONTO BREVISSIMO


-Grazie non posso- disse imbarazzata.
Poi, con un misto di orgoglio e rassegnazione, aggiunse- E’ per via del fegato, sai, stava quasi per esplodere anni fa.
E’ stata una brutta allergia, rarissima.
Quel che si offre non si rifiuta, Laura Sarai, e tu dovresti saperlo meglio di tutti.
Le lisse avevano deciso di fare le ore piccole quella notte e saltavano talmente veloce che l’unica cosa che sentivi era il rumore tonfo, sordo, eppure morbido, dell’acqua, e non riuscivi mai a vederne uno.
Ed allora mi sembrava di vederla “l’allergia” di Lauretta Sarai, vezzeggiativo di Laura, ballare su piste di coca e montagne di pastiglie, ancorata ad ogni collo di bottiglia, come in battaglia, fino allo svenimento, come quando dai un bacio dopo l’amore e stai per crollare che le braccia non ce la fanno più a restare avvinghiate alle spalle dell’amante.
Poi dovrebbe essere stato solo il buio per te, la casa e l’anoressia, la risalita e la rabbia devono essere venute dopo.
Il fantasma di tuo fratello attaccato ad ogni goccia di sudore, ad ogni preghiera e bestemmia, ad ogni pensiero di morte.
Un odio disconnesso deve averti tenuta in vita, un orologio molle che segna sempre l’ora sbagliata, o forse tuo fratello si ricordava di quella bambina si sette anni e non voleva un adolescente intossicata come compagna di viaggio.
Il giorno dopo non ritornammo, ma lo stesso non lo posso giurare per lui.
Abbagliato da quei silenzi, assordato dalle movenze lente e svogliate di quella creatura surrealista , non riuscì a fare altro.
E non gliene potevo fare una colpa.

Monday, July 21, 2008

TORINO: elogio della lentezza e della forza di una città del Nord


Torino è un luogo regale eppure arrangiato.
L’ ex capitale del regno, l’ex capitale industriale del paese appare oggi come una di quelle mogli che dopo il divorzio decidono che è ora di contare su se stesse, di fare con quello che si ha, di ricostruire dalle macerie, di esaltare le proprie risorse ed iniziare a sorridere ai tanti uomini che le si porgono dinnanzi.
Torino a me sembra così: un ex moglie che riprende a vivere, col sorriso un po’ sofferto e il pensiero rivolto alle ferite ancora aperte lasciate dagli anni, quando tutto era diverso, e sente il rammarico, sente la nostalgia, ma anche un senso di liberazione.
L’industria l’ha tradita, Milano le ride alle spalle, come si fa nei quartieri dove si sparla di tutto e di tutti, il quartiere del Nord guarda a lei con un po’di pena, ma lei non si cura di loro e passa.
Torino è l’immagine di una donna forte e fiera che ha voglia di ricominciare.
E’ una vecchia signora che si fa ragazza, strega buona del Nord.
Torino parla mille lingue e ama a dismisura i dolci
E’un pochino fredda ma sorride sotto il ghigno, ha una sua ironia.
Torino è serena ed è sorprendentemente e piacevolmente lenta.
Sarà forse perché è estate ed ha caldo e i vecchi prendono il fresco in Piazza San Carlo e si chinano allegri sulla fontana, quella col toro che a lì significa refrigerio e freschezza, e tutto assomiglia ad un paese del Sud.
Torino balla sotto la pioggia in un parco che profuma di buono: ed è come se fosse carnevale.
E’ pacata , precisa, gentile, cerca di nascondere felicità e dolore dietro un pollice alzato a dire: tutto ok.
E’ così ottimista che quando ti da delle indicazioni per strada dimezza i tempi, che tanto c’è solo un corso da fare, ma quel corso equivale a molti chilometri e tu arrivi a destinazione maledicendola e ridendo.
Torino ama i giovani, forse perché gli ricordano un passato carico di speranze e gli rammentano che tutto è ancora da costruire, che c’è ancora tanto da vivere.
Non è spendacciona ma sa godersi la vita.
Torino non aspetta più, rincorre un sogno, lo cerca nelle luci appese ad ogni angolo di strada quando è inverno, in una fantastica illusione in celluloide, in due uova cibernetiche che ti dicono che è già il futuro.
Il Po è sempre li e le sorride placido quasi a dire: torneremo a scorrere.

Tuesday, June 24, 2008

LA CONDIZIONE DI UN FILIPPINO


La condizione di un filippino
è vita vera governata dai ritmi di un corpo dell’altro secolo
la condizione di un filippino è una notte insonne
è un pasqua a scartare uova comprate in stock
la condizione di un filippino è un posto in disparte a un funerale
è una lacrima che si ha pudore di far cadere
è una risposta che si conosce meglio di tutti
la condizione di un filippino è precarietà legata, piegata al volere di dio
è un nome che si prende in giro la domenica tra il vino e il secondo
è una pelle stanca, pelle di nicotina col sorriso da indio
è una solitudine che diventa utile
le albe passate a sentire un respiro
è un gap di secoli di industrializzazione pagato caro
siamo noi
veneti di cinquanta anni fa
con le comiche, e i grembiuli ricamati
la condizione di un filippino è una busta d’acqua in cartone
un film neorealista che ci si potrebbe sbancare il botteghino
E’ una vita sprecata
trasformata
frastornata
derisa
eppure eccola!
Ci giudica
E ne ha il diritto
E ne ha la forza
E adesso cerchi di nasconderla
Perché puoi
Ma tornerà
Nei vostri rossi pregiati
In un pigiama troppo ruvido
Per sembrare
Vivo
Ora!
Ora!
Ora!

STANZE PRIVATE


Si chiama “Stanze tirate a lucido” l’ultima fatica della compagnia “Lucido Sottile”, in “mostra” all’interno dello spazio museale “EXMA” di Cagliari, tuttigiorni esclusoilunedì, fino all’otto di Luglio.
Una mostra che non è una mostra.
Un installazione che non è un installazione.
E non soddisfa la definizione di teatro.
Un viaggio invece.
Un viaggio attraverso gli inferi del proprio spazio privato.
Sette stanze come sette ritratti di altrettante esistenze.
Sette è un numero che fa pensare alla numerologia sacra.
La concezione che muove questo viaggio in qualche modo pensa agli ambienti come a sette gironi danteschi:tutti rappresentanti a loro modo di un “peccato” di vivere, inteso in una concezione psicologica di perversione esistenziale più che religiosa o morale.
C’è infatti qualcosa di Dantesco in questo viaggio, un Caronte grottesco che ha le sembianze di un improbabile cameriera guida lo spettatore e ne è in qualche modo il tutore.
Esso è anche il medium ce ci permette di avviare la connessione alle stanze, modem grottesco e surreale.
Una riflessione che gioca sul dualismo privato-segreto e pubblico-visibile attraverso una riflessione sul social network..
Gli spazi sono costruiti come pagine di myspace: irrisolti, ambigui, gli allestimenti celano una verità che la performance svela.
Non c’è verità negli allestimenti, perché la vita è più reale degli oggetti che contiene.
Gli strumenti espressivi, i linguaggi si confrontano, si scontrano, si contraddicono:c’è la musica, l’arte applicata, il design, la danza, la performance teatrale in un lavoro corale che ha coinvolto un numero considerevole di artisti provenienti dalle più disparate esperienze.
Questo lavoro a più livelli esprime tra l’altro la dimensione di un villaggio globale dove tutti siamo parte del discorso artistico anche per il solo fatto di esistere e operare.
La volontà di sfruttare una dinamica situazionista appare chiara almeno quanto i giudizi contrastanti che si possono raccogliere nei dibattiti a capannelli che si istruiscono appena ci si riappropria dell’aria del giardino: molto prevedibili, molto coinvolgenti, molta gazzosa, molto figo.
Le Nostre, che pare non amino le mezze misure, pensiamo abbiano raggiunto un obiettivo già di per sé considerevole in una città che ha bisogno di un vero dibattito culturale almeno quanto ha bisogno dell’aria di mare nei polmoni per non morire di asma e di noia.
Alla fine si esce (passandoci attraverso) da una vagina (insanguinata?), nel senso letterale di una figa (insanguinata?) e nel senso più metaforico di sublimazione dell’atto artistico ormai consumato, con dolore, la connessione madre, l’atto di creazione per eccellenza.
Insomma si va per vedere ma alla fine si finisce sempre per fottere.
Solo che questa volta fa un po' male e ci si perde la verginità.

ALLE ARMI!


Un aria strana pervade le schiere ridenti del POP nell’epoca myspaciana nell’anno 2008.
Ed è già da un po’di tempo a questa parte.
Nel belpaese i Baustelle pubblicano il loro masterpiece tutto fiati archi saturi saturi, un disco che non ti aspetti.
Ci sembra che qualcuno abbia dato il tana liberi tutti, perché i produttori e i gruppi di mezzo mondo hanno liberato energie represse e fondamentalmente, diciamolo, se ne fottono.
E Finalmente, diciamolo a voce anche più alta, si cerca di imporre un suono invece di assorbire dalla strada, dalla disco, dai ghetti, dalle subculture metropolitane come è stato dalla metà dei ‘90 in poi.
Niente da rinnegare, intendiamoci, ma siamo felici che la canzone leggera, il pop, la canzonetta direbbe Bennato, abbia riacquistato fiducia in se stessa, nella libertà che le è propria e nelle proprie possibilità, in quanto strumento culturale, di fare massa.
Ed ecco che si inserisce in questo rinascimento, splendente e sentitissimo, il nuovo disco dei Coldplay.
Finiti nel piacevole ma scontato stereotipo del suono coldplayano con X&Y, sembrava dovessero rimanerci per un po’.
Invece ecco“Viva la vida” cantare l’inno della libertà musicale ritrovata, della vittoria che guida i musicanti alla presa della Bastiglia, industria afasica e prevedibile.
Non è casuale che proprio in questa fase i Nostri abbiano rischiato la rottura con la loro etichetta, la EMI, dimostrando in misura evidente che il rapporto tra produzione industriale e artistica è fatto di intrecci a doppio filo, e che l’occhio che percepisce l’immagine su MTV evidentemente non è ancora in grado di mettere i tappi dentro le orecchie che devono ascoltare.
L’industria esige lo stesso prodotto e non sempre è disposta ad accettare le piccole virate che possono disorientare il pubblico ammaestrato.
Non si pensi ad una rivoluzione d’Ottobre.
I riferimenti musicali di questo disco sono nuovissimi quanto le scarpe delle nostre nonne, quelle in vernice col tacco, che pare vadano fortissimo questo anno: ci sono gli Smiths che non ti aspetti, un po’ dei Roxy Music che ti aspetti, gli XTC, e poi c’è il soul e ti lascia felice come un ragazzino sulle autoscontro.
Chi non ha mai amato il gruppo inglese di certo non inizierà a farlo adesso.
Eppure si respira un aria di libertà: c’è il gruppo, ci verrebbe da dire, un collettivo in sintonia e ritrovato che riesce ad elaborare il tutto con piglio sentito, sincero e personale: il lavoro di Eno alla produzione si sente quel tanto che basta a far sembrare i Coldplay un altro gruppo
Le ritmiche sono serrate.
La voce di Martin è più ruvida, espressiva, viva: poco prodotta o forse molto prodotta da sembrare il frutto di una registrazione in presa diretta.
I Coldplay hanno tenuto a precisare di essersi prodigati nell’ esperimento dell’esecuzione in presa diretta “suonando tutti assieme l’uno di fronte all’altro nella stessa stanza come un vero gruppo”.
La freschezza del suono sembrerebbe confermare questo orientamento.
Tranquilli non è la rivoluzione d’Ottobre, tutt’ al più è giacobinismo, rivoluzione liberale e borghese.
Ma alzi la mano chi, fin dalle scuole elementari, non ha fatto il tifo per Massimiliano Robespierre.



Friday, January 11, 2008

PRIMA IL CAMBIAMENTO CULTURALE, POI L’INDIPENDENZA.


E’ incredibile la scena che si è dipanata agli occhi dei sardi e del mondo ieri sera, giovedi’ 10 Gennaio, al Porto Canale di Cagliari.
Non stupisce affatto l’opportunismo schifoso dei vari Mauro Pili, Mariano Delogu e compagnia bella, quelli che, 2 chili di immondizia no, ma, fumi di acciaieria cementificazione delle coste e perfino scorie nucleari! Si’.
Insomma i sopracitati sono fermamente contrari a qualunque operazione non comporti una qualche vera ed effettiva distruzione del territorio sardo e un qualche guadagno per gli amichetti colonialisti di Milano, Brianza e dintorni.
Quello che dispiace è che il movimento indipendentista sardo sia caduto nella trappola.
Si è trattato a mio giudizio di un clamoroso errore politico che non ha certo prodotto un cambiamento delle coscienze ma ha tirato acqua al mulino di chi si vuole servire della vicenda rifiuti per sferrare un attacco al presidente Soru, reo di aver colpito (penso sia un dato incontestabile) gli interessi di amici e amichetti italioti, pronti a tornare al potere per dare di nuovo il via alla pazza corsa verso il cemento il dissesto, l’inquinamento della nostra terra.
Un ruolo succoso è stato poi giocato dal sistema informazione con L’Unione Sarda e Videolina pronti a montare il caso inesistente con accenni talvolta comici: un compassato Valerio Vargiu ci dava in diretta dal Porto Canale di Cagliari la clamorosa notizia che “l’immondizia arrivata da Napoli, pensate amici, puzza terribilmente”…………Sic!
L’immondizia arrivata ieri al Porto Canale di Cagliari via Napoli è per intenderci inferiore al quantitativo prodotto dalla sola area metropolitana di Cagliari in un solo giorno, e tutti ne parlano come del nuovo disastro ecologico sardo.
E tutto questo gridare allo scandalo viene fatto non nell’incontaminato Trentino o nella Valle d’Aosta, ma nella regione italiana che vanta alcune tra le aree industriali più inquinate d’italia (vedi Portovesme), le servitù militari che inquinano e strappano il territorio al popolo sardo!
Ce ne sarebbero energie da impiegare, altro che una nave di rifiuti!
Gli indipendentisti hanno avuto l’onestà di ammettere che il problema era più che altro di natura simbolica che sostanziale ( a differenza del povero Vargiu realmente convinto che saremo sommersi da s’aliga! AIUTIAMOLO…).
Ma proprio qui sta secondo me un problema di natura politica e culturale gigantesco:
finchè continueremo a fare questioni di onore, dignità, principio rischieremo di rafforzare l’idea di chi pensa che la sardità sia un fatto esistenziale, personale piu’ che un fatto sostanziale materiale che potrà anche diventare realtà politica.
Non è questione di sottomissione allo Stato italiano l’aver accolto i rifiuti della regione Campania, è questione di solidarietà tra popoli, tra noi e le persone che materialmente vivono a Napoli e in Campania, che in questi giorni non possono uscire di casa, mandare i figli a scuola.
Un popolo che non ha colpa della propria condizione ma che subisce e ha subito un umiliazione da parte della classe dirigente politica, della Camorra, delle imprese lombarde che per anni hanno scaricato i loro rifiuti in Campania ( Leggere Saviano).
La disponibilità della Sardegna non risolverà la situazione ma non sarà neanche la nuova Chernobyl.
Qualcuno rassicuri Valerio Vargiu, per favore.