Un aria strana pervade le schiere ridenti del POP nell’epoca myspaciana nell’anno 2008.
Ed è già da un po’di tempo a questa parte.
Nel belpaese i Baustelle pubblicano il loro masterpiece tutto fiati archi saturi saturi, un disco che non ti aspetti.
Ci sembra che qualcuno abbia dato il tana liberi tutti, perché i produttori e i gruppi di mezzo mondo hanno liberato energie represse e fondamentalmente, diciamolo, se ne fottono.
E Finalmente, diciamolo a voce anche più alta, si cerca di imporre un suono invece di assorbire dalla strada, dalla disco, dai ghetti, dalle subculture metropolitane come è stato dalla metà dei ‘90 in poi.
Niente da rinnegare, intendiamoci, ma siamo felici che la canzone leggera, il pop, la canzonetta direbbe Bennato, abbia riacquistato fiducia in se stessa, nella libertà che le è propria e nelle proprie possibilità, in quanto strumento culturale, di fare massa.
Ed ecco che si inserisce in questo rinascimento, splendente e sentitissimo, il nuovo disco dei Coldplay.
Finiti nel piacevole ma scontato stereotipo del suono coldplayano con X&Y, sembrava dovessero rimanerci per un po’.
Invece ecco“Viva la vida” cantare l’inno della libertà musicale ritrovata, della vittoria che guida i musicanti alla presa della Bastiglia, industria afasica e prevedibile.
Non è casuale che proprio in questa fase i Nostri abbiano rischiato la rottura con la loro etichetta, la EMI, dimostrando in misura evidente che il rapporto tra produzione industriale e artistica è fatto di intrecci a doppio filo, e che l’occhio che percepisce l’immagine su MTV evidentemente non è ancora in grado di mettere i tappi dentro le orecchie che devono ascoltare.
L’industria esige lo stesso prodotto e non sempre è disposta ad accettare le piccole virate che possono disorientare il pubblico ammaestrato.
Non si pensi ad una rivoluzione d’Ottobre.
I riferimenti musicali di questo disco sono nuovissimi quanto le scarpe delle nostre nonne, quelle in vernice col tacco, che pare vadano fortissimo questo anno: ci sono gli Smiths che non ti aspetti, un po’ dei Roxy Music che ti aspetti, gli XTC, e poi c’è il soul e ti lascia felice come un ragazzino sulle autoscontro.
Chi non ha mai amato il gruppo inglese di certo non inizierà a farlo adesso.
Eppure si respira un aria di libertà: c’è il gruppo, ci verrebbe da dire, un collettivo in sintonia e ritrovato che riesce ad elaborare il tutto con piglio sentito, sincero e personale: il lavoro di Eno alla produzione si sente quel tanto che basta a far sembrare i Coldplay un altro gruppo
Le ritmiche sono serrate.
La voce di Martin è più ruvida, espressiva, viva: poco prodotta o forse molto prodotta da sembrare il frutto di una registrazione in presa diretta.
I Coldplay hanno tenuto a precisare di essersi prodigati nell’ esperimento dell’esecuzione in presa diretta “suonando tutti assieme l’uno di fronte all’altro nella stessa stanza come un vero gruppo”.
La freschezza del suono sembrerebbe confermare questo orientamento.
Tranquilli non è la rivoluzione d’Ottobre, tutt’ al più è giacobinismo, rivoluzione liberale e borghese.
Ma alzi la mano chi, fin dalle scuole elementari, non ha fatto il tifo per Massimiliano Robespierre.